CALMA, NON BISOGNA MICA INCAZZARSI…
Gianluca Marziani
Cazzi… giganteschi, eccitati, eretti, maestosi
nella loro presunzione totemica. Dipinti su tela con enfasi gulliveriana, minuziosi nella stesura ma irreali nei colori
prescelti. Se belli o brutti lo decideranno i
vostri occhi, intanto godeteveli (nei limiti del possibile, almeno in pubblico)
sui muri di una galleria coraggiosa. Non preoccupatevi, nessuna mostra hard o
artista pornografa che sfata su tela i suoi momenti di alta
adrenalina erotica. I quadri, in realtà, hanno pochissimo di quanto ci si
aspetterebbe da inquadrature del genere. Sono talmente extrareali da
trasformarsi in feticci psichici, visioni senza erotismo che sconfinano negli
archetipi umani, nella deriva astratta di un’immagine universale. Sembra
l’origine del mondo in chiave maschile, una spudoratezza del mostrarsi per
dimostrare quanto sia lo sguardo (sempre e solo lo
sguardo) a determinare la valenza delle forme reali. Lo stesso Gustave Courbet avrebbe fatto
qualcosa di simile se fosse vissuto oggi, usando la sua astuzia visionaria
dentro un primo piano del pene eretto. O forse avrebbe realizzato ben altri
viaggi nel corpo metaforico ma di fatto non ci è dato
saperlo. Per cui teniamoci la convinzione che certi quadri piacerebbero a figure
di strepitosa trasgressione, anticonformiste per
natura interiore, avanguardia morale in un mondo che cammina più lento di certi
sguardi superiori.
Otto
grandi tele, tutte a sviluppo verticale, divise in due
gruppi ideali: quattro opere in bianconero, quattro a colori. Nessuno dei due
momenti si muove con approccio realistico, al contrario
l’artista predilige atmosfere cromatiche di sensoriale fluidità mediatica. Il bianconero deriva dal cinema e da certa
fotografia, qui ancora più esasperato nelle variabili sensibili del grigio.
Rientra in un flusso pittorico che vede riferimenti importanti, da Robert Longo a Gerhard Richter, da Gian Marco Montesano a Daniele Galliano. La peculiarità della Napolitano riguarda il tipo d’inquadratura, l’esasperazione
dell’ingrandimento, quasi un passo alla David Cronenberg dove l’oggetto dipinto pare uscire dalla
superficie, mutando in un videodrome volumetrico sul
corpo ravvicinato. Il colore rende ancora più irreale l’altro gruppo di opere: verdi smeraldo, blu elettrici, rossi pop per fare
del pene un archetipo che agisce sulla ragione anziché sull’istinto. Lo scatto
in avanti sottolinea proprio questo dettaglio non
marginale: spostare l’asse analitico da una tipica eccitazione ad un momento
concettuale. Rendere il pene un feticcio che racconta altro
da quanto ci aspetteremmo. La stessa inquadratura incombente, come se il
membro maschile fosse una pistola puntata sul mondo, ribalta la logica con cui guardiamo il sesso. Il quadro ci classifica come un
bersaglio, siamo l’oggetto del suo sguardo in un cambio dei ruoli che scardina
diverse convinzioni su voyeurismo, esibizionismi, cultura hard, feticci e
simulacri.
Mentre scrivo già immagino le reazioni di certi
probabili spettatori. Assaggini di moralismo non
mancheranno all’appello, soprattutto in un quartiere borghese poco incline a
dichiarare la normale brutalità delle cose. Enormi cazzi
sulle pareti di una galleria in una bella zona romana: qualcuno penserà ad una
provocazione natalizia, ad una furbizia mediatica con
cui creare il piccolo scandalo del momento. In fondo vorremmo che accadesse
ciò, le azioni altrui diventano talvolta più utili di
un buon ufficio stampa (e, soprattutto, costano meno in termini economici). Il
nostro problema è che crediamo nel reale valore del progetto, nella sua valenza
culturale in una pittura italiana che talvolta non prende rischi, si vergogna
dei possibili eccessi e autocensura i brandelli di onestà interiore. Confessiamo che il periodo natalizio ci
sembrava giustissimo per ricreare un contrasto spudorato tra l’apparenza delle
forme e il loro valore, sia tematico che morale. Nei
momenti di facili similitudini propositive, il colpo gobbo va assestato nel
momento più “sensibile”. Oltretutto la galleria sta seguendo l’artista da
alcuni anni, ne conosce bene il ciclo passato e le ultime strade figurative.
Capirete che sosteniamo il progetto perché vale in termini artistici. Vediamo
la qualità tecnica con cui crescono opere dalle belle stesure, morbide e
calibrate nelle variazioni tonali. Sentiamo la qualità concettuale, i dettagli
con cui l’artista analizza la propria coscienza e si mette in gioco,
coraggiosamente, naturalmente. E poi percepiamo la
coerenza stilistica, la potenzialità di crescita, l’onestà senza sotterfugi.
Diverse cose dovranno migliorare, così come avviene
per ogni storia in evoluzione. Ma le premesse si
stanno già consolidando nella maniera adeguata. E questi otto
totem, inutile negarlo, lo affermano con poca timidezza e tanta vitalità
(non solo muscolare).
A
tale proposito, rivediamo in sintesi il percorso di Giordana Napolitano. Prima di questi lavori c’erano i quadri di
natura informale, più arcaici e crudi nella stesura, terrosi nei colori
dominanti. Le forme non si dichiaravano eppure cresceva l’attenzione ossessiva
per il pene e la vagina. Fasci di spesse linee scure rimandavano a momenti
penetrativi, ad organi in erezione, a primi piani con cui ribaltare ogni
apparenza astratta. Poi è arrivato il periodo che ci porta a questa mostra,
circa due anni (2002-2003) in cui l’artista ha dipinto otto grandi tele e due
carte di medio formato. Subito dopo ha mescolato i due piani figurativi, quello
metaforico e quello dal realismo eccessivo. Creando opere
dove appare in primo piano la figura femminile: nuda, desiderosa, aperta alle
esperienze totalizzanti del corpo maschile. Attorno alle sue donne dal
rosa psichedelico si sviluppano fondali che sembrano geografie desertiche,
scarnificazioni materiche che ci riportano ai liquidi
corporei, ai gesti del sesso, al mostrarsi in maniera definitiva. Ad unire i
tre momenti una costante tensione al grande formato,
trovando negli ingrandimenti il giusto cortocircuito tra realtà didascalica e
percorso interiore. La superficie aperta alza il piano concettuale del progetto
ed evita la crudezza di un realismo che qui non servirebbe. Tutto è fisicità
dilagante eppure l’opera diviene sempre più mentale ed astratta. Entra così
tanto nella materia fisica da ribaltarne il senso e la sensualità. Quadri e
corpi senza timidezze. Veri. Potenti. Catartici.